Top 10 Videgiochi
I 10 miei giochi preferiti
Quando mi devo descrivere uso sempre l'aggettivo Pragmatico e per giunta mi sono anche sempre definito Ateo.
Sono ancora convinto delle mie idee ma trovo che ci sia una cosa che si avvicina alla Sacralità per me, quella sensazione di Trascendenza e Contemplazione e questa cosa è l'Arte.
In questo articolo elenco i 10 giochi che hanno fatto sorgere maggiormente in me queste sensazioni uniche. Sensazioni di Universalità e Intimità allo stesso tempo.
PS: Ricordo che questa è la mia top 10. Molti giochi per ovvie ragioni di tempo non li ho mai giocati. Ho preferito questi giochi per ragioni puramente personali che potrebbero non essere condivise ma spero siano comprese.
PPS: Questo articolo è stato pubblicato con il suo gemello, la top 100, vi invito ad andarla a vedere se dovesse interessarvi.
10. Metal Gear Solid V: Ground Zeros
Software House: Kojima Productions
Autore: Hideo Kojima
La storia che ho avuto con la saga di Metal Gear penso sia considerabile non convenzionale: quando ero piccolo avevo in casa la PS1, non perchè io fossi un videogiocatore all'epoca (stavo appena muovendo i miei primi passi con il mondo dei Videogiochi) ma perchè lo erano i miei (non è così figo come sembra). Ricordo distintamente mio padre che giocava a Metal Gear Solid ma dopo poco lo mollò per tornare a giocare al suo amato Pro Evolution Soccer (all'epoca International Superstar Soccer), le critiche erano le più comuni dell'epoca: è un gioco action dove non si spara, non c'è un vero Gameplay, non mi diverto a scappare.
Era nato il genere Stealth.
Quindi per molti anni non sento più parlare del francise Metal Gear fino a che non compro un Humble Bundle con molti giochi popolari Konami, dove all'interno c'era Metal Gear Solid V: The Phantom Pain. Non ci faccio troppo caso e lo abbandono nella mia libreria Steam a prendere polvere. Fino a che non sento parlare bene della saga da Sabaku no Maiku, noto youtuber che all'epoca conoscevo per i giochi From. Mi genera talmente tanta curiosità che decido di prendere la Legacy Collection per PS3 e e di recuperarmeli tutti.
Fast Forward di qualche mese. Ho ormai giocato fino al capitolo Peacewalker per PSP. Sento sensazioni contrastanti in me: un'incredibile estasi per aver recuperato una saga così tanto importante e bella ma anche un po' di stanchezza che mi porterebbe a prendermi una pausa dalla saga e tornarci in seguito (chi mi conosce sa che mi stanco molto facilmente e ho bisogno di tempi di recupero per farmi tornare la voglia). Ma stringo i denti e inizio Ground Zeros, anche perchè avevo sentito che serviva solo come introduzione di poche ore a The Phantom Pain e che era stato fatto come astuta mossa di marketing di Konami per spillare più soldi al fan.
Finite le effettivamente poche ore di gioco ero emotivamente distrutto, a piangere da solo davanti ad uno schermo per una storia che era un'introduzione a the Phantom Pain ma sarebbe riduttivo definirla solo così. Riesce con poche "note" a suonare una melodia indimenticabile, che tocca i temi del tradimento, della femminilità, della prigionia e del sacrificio.
Hideo Kojima non è solamente un maestro di Narrativa e di Regia, sbertucciato dai detrattori come un regista mancato, ma anche un geniale Game Designer, e ci presenta in poche ore tutta la magnificenza del suo Game Design, uno stealth sopraffino, e un impatto estetico formidabile tutt'ora.
IN UNA PAROLA: Indimenticabile
9. Red Dead Redemption II
Software House: Rockstar North
Autore: Imran Sarwar, Dan Houser
Era il 2018, e mentre io stavo recuperando giochi come Dishonored 2 e Prey, escono 2 giochi destinati a riempire le ore dei console gamer per quell'anno: God of War e ovviamente Red Dead Redemption 2. Entrambi esclusive console (uno esclusiva Playstation). Subito risulta chiaro che si contenderanno il titolo di gioco dell'anno per il pubblico videoludico mainstream.
Io, essendo un PC gamer (non per ideologia ma per comodità economica e logistica) vedo il dibattito da fuori e cerco di farmi un'idea sui due titoli. Sembra che non sia il solito schieramento ideologico ma che il dibattito sia più profondo: tra chi apprezza i giochi più guidati verso una narrazione molto ben curata e tempi più filmici, e chi invece elogia la grande libertà e la vita del mondo di gioco e da un peso maggiore a quell'aspetto.
Io mi sono sempre convinto di essere più della prima categoria (e in parte lo sono ancora) e quindi che avrei apprezzato di più la narrazione e la spettacolarità di un God of War in grande spolvero, che prometteva una storia profonda e botte da orbi. Non mi sono mai piaciuti i giochi "simulativi", ne quelli di guida o pilotaggio, ne quelli di guerra alla Arma ne i vari Farming, Truck o Dishwasher Simulator del caso.
Dopo un'anno circa sbarca su PC Red Dead Redemption 2, e per qualche motivo, in uno dei vari sconti di Epic Games me lo porto a casa. Per intenderci, God of War non era ancora uscito su PC, quindi non avrei potuto dirottare quell'acquisto sul gioco di Santa Monica.
Lo inizio con molta paura e con le critiche più popolari che mi girano in testa: movimenti legnosi, shoting impreciso, spazi ampi dove non succede niente per chilometri. Nella mia mente non c'erano chiaramente solo paura e diffidenza ma anche molta curiosità e felicità per la possibilità di provare un gioco così mediaticamente importante.
LE PRIME ORE: l'impatto iniziale è traumatico, un gameplay molto lento e sorprendentemente inquadrato che mi fa quasi esclamare "perchè tutti dicono che il gioco è così libero?". La narrazione è più presente di quello che si può pensare ma comunque di ottima qualità e l'impatto di insieme è notevole.
IL GIOCO EVOLVE: dopo del tempo per presentare i personaggi il gioco muta, passando da una fase di tutorial mascherata molto bene
alla libertà tanto decantata da tutti.
Il gioco diventa un'esperienza immersiva di altissimo livello e ogni cosa è curata nei minimi dettagli.
Il gioco possiede due anime: quella Free Roaming e quella Narrativa. Non è nulla diverso da quello che si era già visto nei giochi commerciali Open World più importanti ma qui è tutto fatto meglio, la chiamo Rockstar Difference.
La parte Free Roaming è eccelsa, con molto nulla sulla mappa ma che non fa storcere il naso, anzi, genera più immedesimazioni nel giocatore che sente di star viaggiando in territori ancora non civilizzati dagli uomini occidentali. Ma nei pochi luoghi in cui c'è qualcosa ti stupisce ogni volta.
Voglio fare un esempio: Sto cavalcando ormai da ore in cerca di una pianta necessaria per progredire con una missione e nel mio girovagare mi imbatto in una delle tante persone che riposano con il loro falò, la loro tenda e i loro possedimenti gelosamente difesi. La diffidente persona, vedendomi, si allerta e, giustamente, tira fuori la sua pistola e mi intima di andare via (in quel periodo non mi sarei fidato neanche io). Fino a qui la scena è tra le più comuni: ogni tanto ti sparano, ogni tanto ti minacciano, ogni tanto sono più fiduciosi e ti salutano senza accennare a minacciarti ma questa volta è stata diversa: il malcapitato minacciandomi si alza in piedi, inciampa sul terreno e cade dritto dentro al falò, iniziando a prendere fuoco, urlando e piangendo. In pochi minuti era morto e il povero Arthur (il protagonista) ha potuto solo assistere a questa scena impotente. Questa cosa qua non mi è mai più ricapitata in un centinaio di ore di gioco. Quale gioco può vantare una cura così meticolosa?
Passiamo alla Narrativa: il gioco è speciale, forse non la migliore storia mai vissuta ma certamente tra le più belle, non tanto per la storia in se o per come è stata narrata ma per l'interazione tra missioni principali e secondarie e come (seppur non cambia praticamente niente) ti dia la sensazione di veder maturare Arthur nel suo viaggio.
È tipica la sensazione nei giochi Open World che ci sia una cosa urgentissima da svolgere, tipicamente la missione principale, ma poi non sia così urgente perchè il giocatore passa 30 ore a fare sidequests che mostrano la poca urgenza della Main Quest. Questo schema è presente nel sempre blasonatissimo The Witcher 3, o in molti Assassin's Creed, o in Cyberpunk 2077 per citarne alcuni. In Red Dead Redemption questa pressione non c'è fino ad un certo punto dove il gioco narrativamente accellera ma fino a quel punto la Main Quest ti invita ad esplorare dicendoti "tranquillo, io ti aspetto qua".
LA CONCLUSIONE: Il gioco si chiude con delle scene che me le porterò nel cuore, sono delle scene bellissime perchè chiudono un percorso fatto con Arthur che lo vedono evolvere, ragionare, maturare e prendere scelte difficili. Io vedo Red Dead Redemption 2 come una storia di crescità di un uomo fuori età massima, un eterno Peter Pan che ha fatto cose orribili che si rende conto che deve crescere e che ha la forza di cambiare anche se fuori età massima.
IN UNA PAROLA: Introspettivo
8. This War of Mine
Software House: 11 bit Studios
Autore: Michael Oracz, Jakub Wiśniewski
Primo ma non ultimo gioco Indie di questa lista. Gioco privo di Narrativa esplicità ma solo di Scenari, che portano inevitabilmente a finali diversi. Un gioco che riesce a farti vivere da un punto di vista poco esplorato nel mondo dei videogiochi ma fondamentale per capire cosa significa Guerra.
Il gioco è definibile come gestionale con visuale laterale, dove vesti i panni di un nucleo di persone unite dal caso, tutte con una loro storia caratteristica, che cercano di conoscersi e sopravvivere insieme fino a che la guerra non dovesse aver fine. E' chiaro per chiunque lo abbia giocato che questa descrizione è riduttiva: all'interno di questo gioco c'è tutto il dramma della guerra vista dagli occhi di un civile e tutta la brutalità che la guerra fa uscire dalle persone.
Si inizia quasi sempre con una situazione tragica ma stabile, con una casa, non in buone condizioni, che piano piano si inizia a popolare di persone. Andando avanti con la partita iniziano ad emergere le necessità che Maslow definirebbe primarie: la fame, il sonno, il freddo iniziano ad attanagliare i protagonisti che devono cercare un modo per rimanere vivi, un modo che non sempre si rivela "umano".
PER FARE UN ESEMPIO: nelle prime ore di gioco si scopre la meccanica dello Scavenging, la notte uno degli abitanti della casa ha la possibilità di esplorare altri stabili per trovare risorse utili per mangiare, costruire e curare. Ogni Location ha un valore di pericolosità e una dei primi luoghi che il giocatore sceglie è una casa tranquilla, rischio nullo ma piena di risorse (secondo il gioco). Presentandosi davanti alla casa però quello che si trova fa rimpiangere di non aver trovato dei banditi degni di essere saccheggiati, fa rimpiangere di non aver trovato perfino cadaveri: si trova una coppia di anziani spaventati e malati, indifesi che inizialmente ti minacciano in modo timido, passano poi subito ad implorarti ed infine a implorarti di non prendere proprio tutto ma di lasciargli almeno le medicine. Nella mia prima partita avevo un personaggio malato a casa e mi sono detto che non potevo lasciare le medicine, che loro erano anziani ma il mio personaggio era giovane. La notte dopo, pentito, tornai in quella casa per ridare agli anziani le medicine prese il giorno prima, ma lo spettacolo è stato raggelante: la coppia si era suicidata lasciando una lettera straziante.
Questo è uno dei tanti scenari che This War of Mine regala al giocatore, scelte difficili, storie dure e conseguenze insostenibili. E' un gioco con un amabile game design ma che non ti lascia mai goderne, invece ti tira dei pugni nello stomaco che ti inducono all'abbandono del gioco. L'unica cosa che ti tiene incollato: la possibilità che grazie alle tue scelte i personaggi arrivino vivi alla fine della guerra, ma a che costo?
Questo gioco, "battente bandiera" Polacca, è sviluppato da un Team con anche persone che hanno vissuto l'assedio si Sarajevo, persone segnate da un trauma che in questo gioco provano e secondo me riescono a trasmettere al giocatore.
IN UNA PAROLA: Doloroso
7. Metal Gear Solid 3: Snake Eater
Software House: Kojima Productions
Autore: Hideo Kojima
Hideo Kojima e Metal Gear ritornano dopo il decimo posto di Ground Zeros. Tenendo sempre in grande considerazione anche le altre questa per me è la Opus Magnum del Creativo. A differenza delle altre Opere riesce a unire la trama di Politica Internazionale e Spionaggio di ampio respiro e l'Intimità dei rapporti umani, scandagliando le debolezze dei protagonisti e mostrando che gli avvenimenti succedono in un determinato modo anche per le scelte morali ed emotive dei singoli.
Dopo aver introdotto la minaccia nel primo MGS e fatta esplodere nel secondo capitolo, in questo gioco Kojima mostra le origini della suddetta minaccia e come storicamente sono andati gli eventi. Per chi non avesse giocato il gioco ometto volontariamente i dettagli per non incorrere in spoiler. Questo viaggio porterà il giocatore ad incontrare personaggi che già conosce o ha già sentito nominare e molti altri del tutto inediti che diventeranno istantaneamente tra i preferiti della Saga.
Ma la domanda è "perchè il gioco è così importante?": formalmente una storia può essere divisa in forma, come la racconti, e contenuto, cosa racconti. Ecco, in MGS3 entrambi sono a livelli altissimi.
PARTIAMO DALLA FORMA: il gioco presenta una regia da alto cinema, come Kojima ci ha sempre abituato, ma a differenza di altri giochi è saggiamente dosata con il comparto ludico/interattivo. La narrazione è sempre al limite del surreale ma mai scadendo nell'irrealistico, potremmo dire che è una narrazione onirica. La mia interpretazione è che, essendo avvenimenti molto datati a confronto di MGS2 (gli avvenimenti di MGS2 sono i primi del 2000 mentre MGS3 è ambientato a metà degli anni '60), questa sia una narrazione indiretta, una concretizzazione del sentito dire, una storia tramandata oralmente da leggenda in leggenda ingigantendo l'epicità degli avvenimenti a ogni racconto. Questo porta a personaggi con poteri sovrumani e azioni al limite del credibile da parte dei nostri eroi. Ciononostante non significa che molti avvenimenti non siano avvenuti, e non siano riportati in maniera anche molto realistica, sta al giocatore discernere il mito dalla realtà.
ORA PARLIAMO DEL CONTENUTO: la storia è magnificamente bilanciata per farti parteggiare per chi non merita e farti commuovere per chi non desidera commozione. E' una storia di mentore/alievo ma anche una storia d'amore e ovviamente una storia di spionaggio militare e politico. Personaggi memorabili come Anton Sokolov, Revolver Ocelot, Naked Snake e The Boss sono già un motivo sufficiente per vivere questa esperienza fantastica. Non mancano anche i momenti comici e parodistici, come Ivan Raidenovitch Raikov, parodia di Raiden di MGS2, piccola vendetta di Kojima che mette alla berlina tutti quelli che si sono sentiti delusi da MGS2 perchè non presente Solid Snake.
PER ULTIMO IL GAMEPLAY: Avviso che io ho giocato la versione Subsistence. Ho trovato il gameplay fenomenale, una cura per i dettagli fuori dal comune, un gamplay che riesce a inserire la componente survivor (che io non amo) in una maniera così ben bilanciata da non stuccare mai. Ma soprattutto Kojima è riuscito, forse veramente l'unica volta, a bilanciare in modo perfetto la sua visione registica e videoludica. Per questo ritengo Snake Eater il miglior gioco di Kojima.
IN UNA PAROLA: Eroico
6. Hellblade: Senua's Sacrifice
Software House: Ninja Theory
Autore: Tameem Antoniades
Quante volte nella storia dei videogiochi si può affermare senza paura di smentite che un gioco sia un viaggio psicologico del protagonista? In verità più volte di quante si possa pensare ma per me mai bene quanto Hellblade. Il viaggio psicologico è un espediente particolarmente comune nella narrativa cartacea, ancor di più in quella cinematografica, per non parlare di quella musicale dove ormai è diventato un cliché. Ma in Hellblade la trattazione psicologica acquisisce una potenza narrativa e immersiva che media "tradizionali" si possono solo sognare (per saperne di più su questo argomento ho scritto un articolo).
La storia di Senua è molto semplice: il suo ragazzo è morto e lei si reca nel regno dei morti per chiedere alla Dea di riportarlo in vita. Premesse tanto semplici regalano la possibilità al Narratore di poter raccontare storie ricche di sfaccettature e di caratterizzazioni. Va aggiunto il fatto che in questa storia vi è solo un personaggio: Senua. Questa scelta narrativa porta ancora di più il giocatore a empatizzare con la guerriera Pitta e subire anche un voluto senso di isolamento innaturale, spaventoso ma in un certo strano senso rassicurante.
Senua nel suo viaggio inizierà a perdere il senno e le esperienze che vivrà saranno sempre più allucinate e spaventose: inizierà con il sentire delle voci nella testa, poi avrà delle apparizioni del suo amato e nel mentre cose strane accadranno intorno a lei. Le voci nella testa hanno un doppio scopo: sono un espediente narrativo molto suggestivo, tecnicamente fatto anche molto bene, con un audio spaziale che, se giocato con delle cuffie, porta il giocatore a sentirsi accerchiato dalle voci, ma anche uno scopo ludico, con le voci che ogni tanto suggeriscono come proseguire, che azione intraprendere, che strada andare (da non intendere come una guida ma più come deli indizi ben nascosti nel delirio psicologico).
Anche nel game design il gioco si difende, non è un gioco che eccelle in nessuna delle sue meccaniche ma sono tutte apprezzabili e intrattenenti: un combat system che è un ibrido tra Dark Souls e God of War, degli enigmi semplici ma appaganti, che giocano su prospettive, oggetti e simboli e un level design a tunnel e arene ma che non fa pesare sul giocatore l'iterazione della formula. Dove eccelle il gioco è nella consapevolezza e il controllo della storia attraverso l'interazione, sa sempre quando il giocatore è stufo di combattere o quando è stufo di esplorare o è stufo di risolvere enigmi e si ferma prima. Grazie anche alla sua durata ridotta mantiene un ritmo incredibile donando al giocatore emozioni molto dense.
Hellblade inizia come un'epopea mitologica come se ne sono viste tante ma riesce a diventare qualcosa di diverso, un'opera che tratta di persone che si sono perse, di lutto e di fasi del dolore, di suicidio, di vendetta e di disperazione. La follia di Senua è quella che ogniuno di noi può esperire nella vita quotidiana. Quindi il gioco racconta una storia non racchiusa in un periodo storico, bensì racconta del nostro subconscio e di come l'essere umano vive il dolore.
IN UNA PAROLA: Psicologico
5. To the Moon
Software House: Freebird Games
Autore: Kan "Reives" Gao
La vita è un processo irreversibile che porta alla morte.
E se poco prima della tua morte ti rendessi conto che non sei soddisfatto di come hai svolto la tua vita, o di come gli avvenimenti casuali che ci circondano costantemente ti hanno portato verso una strada a te non gradita? To the Moon si pone questa domanda e si immagina un'azienda, la Sigmund Corp, che riesce a modificare i ricordi di una persona sul punto di morte per farla morire felice, un dolce inganno per alleggerire il trapasso.
Si può capire fin da subito che i temi trattati non sono dei più leggeri e le implicazioni filosofiche e religiose sono innumerevoli. In questo gioco nulla è lasciato al caso!
Il gioco è creato da un ragazzo, Kan Gao, un One Man Army che ha scritto la storia, curato la parte grafica, scritto (in collaborazione con Laura Shigihara) la musica e creato il gameplay. Intendiamoci, non siamo di fronte ad un gioco con una grafica slogamascella o a un gameplay immortale ma è tutto funzionale a ciò che il Creativo vuole veicolare: le Emozioni.
Il gioco è sviluppato con RPG Maker, un motore grafico molto semplice che richiama i primi Final Fantasy o i primi Pokémon, (a scanso di equivoci, il gioco non è un gioco di ruolo) e lo stile è una pixel art molto sobria che non incanta ma neanche lascia scontenti. Il gameplay invece è per lo più una serie di task molto semplici: trova tutti gli oggetti nello scenario e vai alla parte narrativa successiva, un gameplay quasi da gioco mobile di bassa lega.
Finite le parti meno eccellenti parliamo adesso del vero piatto forte. Partiamo dalla musica, brani suonati con piano, brani suonati con pochi strumenti, non grandi orchestre o pompose composizioni alla Hans Zimmer ma intimiste come la narrazione richiede. Non sono la persona più titolata per dare un parere sulla qualità tecnica della musica ma posso commentare quanto riescano a rinforzare il messaggio narrativo nella mente del giocatore e queste musiche sono incredibili (per chi volesse ascoltarle: qui), ancora a distanza di anni mi commuovo ascontandole. Solo un altro gioco mi ha lasciato un ricordo così dolce delle sue musiche, un gioco molto diverso da To the Moon (che considero inferiore a quest ultimo) che è Death Stranding.
INFINE LA NARRAZIONE: Kan Gao dimostra in questa sua opera prima (e in quelle successive) una capacità di narrare storie veramente memorabili, che abbiano implicazioni filosofiche ma che non vadano mai a perdere la parte intimistica e caratteriale dei personaggi. La storia è molto semplice ma molto d'effetto: due scienziati della Sigmund Corp vengono assegnati ad un signore, già in coma irreversibile con un'aspettativa di vita di meno di una settimana, per iniettargli il ricordo di essere stato sulla Luna. Il processo non è immediato e per poter depositare un pensiero nella mente di una persona bisogna andare nel profondo della sua mente, comprendere i ricordi chiave, quindi scandagliare gli avvenimenti della vita del paziente, e poi depositare il ricordo. Questo processo di indagine disvelerà il motivo del perchè di un sogno così per certi versi infantile ma per altri poetico.
Non voglio raccontare niente degli avvenimeni della trama, ma vorrei come ultima cosa parlare della filosofia della Sigmund. C'è un detto che fa "se vuoi far ridere Dio, raccontagli i tuoi piani". Estrapolando il senso laico dal contesto metafisico, questo detto mostra l'illusione che tutti noi ci costruiamo: la programmazione della nostra vita, i progetti, il senso della nostra vita. Non sono un Nichilista ma trovo che la filosofia Positivista del "sei artefice del tuo destino" sia una pura illusione, religione per Atei. La Sigmund Corp riesce a comprendere che l'unico posto dove tu puoi essere artefice del tuo destino è nella tua mente, capisce che non può avere un impatto sulla realtà e quindi decide di distorcere la percezione della realtà nella mente di chi lo richiede, un approccio molto pragmatico, ma sa che per essere efficace deve farlo solo pochi istanti prima della morte, sennò il confronto con la realtà creerebbe uno scisma tra la tua convinzione e ciò che ti circonda. Ma qual è l'utilità di modificare il pensiero di una persona che tra poco non ci sarà più? Non possiedo una risposta a questa domanda ma penso che sia uno dei motivi per cui questo gioco sia tanto speciale.
IN UNA PAROLA: Commovente
4. Dishonored
Software House: Arkane Studios
Autore: Raphaël Colantonio, Harvey Smith
Come reagireste a un gioco che è definibile come uno shooter, un GDR, un action e anche uno stealth tutto insieme. Le reazioni comuni sarebbero "troppo bello per essere vero" o "non è né carne né pesce". Ecco, Dishonored è proprio così, è tutti questi generi insieme. E entrambe le reazioni sarebbero valide perché il gioco in questione è sia troppo bello per essere vero che né carne né pesce ma è questo che lo rende speciale.
Riassumendo in breve le premesse narrative, senza fare spoiler: il protagonista è Corvo Attano, guardia del corpo della imperatrice Jessamine Kaldwin, che all'inizio del gioco viene assassinata davanti agli occhi inermi del protagonosta che viene incolpato di un omicidio che non ha fatto. Questo mette in moto una serie di eventi che faranno entrare il nostro eroe in contatto con un'entità sovrumana che donerà dei poteri per vendicare il regicidio.
La storia è banale ma molto efficace, riesce a farti entrare dentro alla narrazione in modo facile e diretto e ti da delle motivazioni molto forti per compiere la tua vendetta. Ma quello che più di tutto colpisce non è la storia imbastita dagli sceneggiatori di questo gioco ma la libertà di plasmarla per renderla più personale, spettacolare e divertente da giocare.
Voglio fare un esempio perché è difficile capire altrimenti: [ATTENZIONE MINOR SPOILER] nella prima vera missione ci troviamo a dover vendicarsi con uno dei cattivoni che ha fatto cose cattive, sorvoliamo le motivazioni. La cosa incredibile è il numero di modi. Possiamo avvelenarlo, incolparlo di aver avvelenato qualcuno, ucciderlo in modo classico, risparmiarlo. Ma non solo, il palazzo in cui risiederà sarà pieno di ingressi e vie per arrivare al nemico: il classico portone principale, che però farà scattare l'allarme e dare inizio ad una carneficina, la finestra dello studio della vittima, ma anche le fogne, o il tetto, o il retro... Spero di aver dato l'idea dei mille approcci che questo gioco offre, per non parlare delle abilità e delle armi che variano il proprio playstyle. Per chi fosse interessato consiglio StealthGamerBR2, che fa dei video delle azioni più spettacolare su Dishonored.
Una menzione però voglio farla sulla qualità narrativa, sempre al massimo, con personaggi scritti molto bene, tra il grottesco e il drammatico (se siete amanti dello stile di Tim Burton vi troverete a casa) ma anche, e soprattutto, sul design estetico dei personaggi e della città di Dunwall. L'ambientazione è uno steampunk Vittoriano molto ispirato che riesce a immergerti completamente.
Questo è il gioco meno narrativo e più ludico di questa classifica ma, per chiunque dovesse leggere questa recensione, non immaginatevi che sia un gioco poco profondo o poco emozionante. Preparatevi a momenti di esaltazione per il gameplay e momenti di vere e proprie decisioni cruciali e scene memorabili. La storia più che mai è nelle vostre mani.
IN UNA PAROLA: Immersivo
3. Bloodborne
Software House: FromSoftware
Autore: Hidetaka Miyazaki
"We are born of the blood, made men by the blood, undone by the blood. Our eyes have yet to open...”.
Siamo arrivati al primo gioco targato From Software, ma non sarà l'ultimo. Bloodborne è un'opera interattiva fuori dal comune, è un esperienza esoterica, un sabba di streghe, una messa diabolica, è il placido mare del terrore che ti avvolge per le strade di Yarnam, incredibile ambientazione di From Software. Per me non esiste gioco che incarni meglio la frase "L'ambientazione è il vero protagonista del gioco". La città è claustrofobica ma immensa, un dedalo di orrori dove preghi che alla prossima svolta troverai volti amici e non spaventosi nemici intenti a rovinarti la "tranquilla" serata di relax. In contrapposizione ad Yarnam - città che dovrebbe impersonare una mente folle e contorta fatta di luoghi buii, altri dimenticati e altri ancora repressi - c'è il sogno del cacciatore, luogo sicuro e intimo, circondato dal nulla. Come dice il nome rappresenta il luogo dei sogni: non sempre solare e allegro ma accogliente (finché non si trasforma in incubo).
Il gameplay è quello dei Souls ma rivisitato per dare all'opera un gusto tutto suo e inconfondibile. Molti recensori definiscono questo gameplay come migliorativo della saga dei Souls antecedenti all'uscita, e che Miyazaki abbia sempre più prediletto un gameplay frenetico a discapito del compassato stile dei primi Souls. Io sono d'accordo a metà: è vero che il gameplay nel corso delle uscite è diventato più frenetico ed è possibile che Miyazaki abbia trovato più gradevole una velocizzazione dello strategic swardplay ma io non annovero nei meriti la velocizzazione dei combattimenti. Per me risultano due esperienze diverse, entrambe di altissimo valore che ho goduto con grande gioia.
Il gioco non possiede una vera trama manifesta ma solo una nascosta, una storia del mondo di gioco (o per meglio dire "universo"), che rende ancora più inquietante la storia. Immagina di essere catapultato in questo mondo, non sai dove andare, non conosci nessuno, non sai chi sei e chiunque ti vuole morto. In quel momento un estraneo ti dice che puoi essere un cacciatore di mostri e scoprire la verità. Hai da subito la sensazione che tutti sappiano cosa stia succedendo ma nessuno te lo dica. Ti senti sfruttato, usato per scopi che puoi solo sperare siano nobili ma sai che probabilmente non lo saranno. Una cosa sai: trasfuzioni di sangue in quella città curano le malattie. Che il gioco abbia inizio!
IN UNA PAROLA: Ignoto
2. Dark Souls
Software House: FromSoftware
Autore: Hidetaka Miyazaki
In ogni periodo storico sono esistite delle narrazioni che riuscissero a creare delle mitologie tali da segnare la cultura popolare. Da l'Iliade e l'Odissea, la Divina Commedia, l'Orlando Furioso, il Signore degli Anelli fino a Star Wars. Storie che sono riuscite ad accendere della passione negli occhi dello spettatore. Secondo me Dark Souls riesce ad accostarsi a queste opere immortali.
La grandezza di Dark Souls si divide in tre parti:
- la narrativa silenziosa;
- il tactical swardplay;
- l'interconnessione di mappa.
TACTICAL SWARDPLAY: Combat system utilizzato in questo gioco. Sua seconda iterazione dopo l'implementazione in Demon's Souls. In questa versione viene migliorato, reso più variegato, soddisfacente e modificabile in base alle preferenze del giocatore. Una delle critiche più importanti che faccio a Demon's Souls è che per sconfiggere certi nemici c'è bisogno di un'approccio molto specifico, con dei potenziamenti di un certo tipo. Questo in Dark Souls viene completamente superato, lasciandoti libero di modificare il tuo approccio a piacimento.
Il combat system di Dark Souls ha fatto scuola e come tutti sanno le implementazioni dello stesso paradigma, seppur con variazioni, si sprecano. Molti considerano implementazioni successive, anche non di From migliori. Io penso che sia un'opinione legittima e non credendo nel merito storico cronologico nell'arte - dove chia arriva prima sia più meritevole per aver apportato novità - penso che sia giusto far notare questa cosa. Ma sull'interconnessione di mappa Dark Souls è ancora imbattuto.
INTERCONNESSIONE DI MAPPA: è un termine per definire la proprietà della mappa nell'unire diverse aree senza soluzione di continuità, in modo sempre stupefacente e impressionante. Questa sensazione viene data anche dal sistema di gioco: in un Souls vi è un falò (un checkpoint) dove salvi i progressi di gioco fino a quel punto e se dovessi morire ripartiresti da quel punto. Il gioco quindi si basa, semplicisticamente, sull'andare da un falò all'altro senza morire. Detta così potrebbe sembrare noiosa la progressione, un enorme tunnel dove periodicamente c'è un falò. Ma non è quello che succede nel nostro gioco: la mappa (che è composta a tunnel, e non potrebbe essere diversamente) si contorce su se stessa intersecandosi con altre parti del "tunnel" creando dei passaggi che rendono l'esplorazione non più lineare ma dando la sensazione di essere all'interno di un formicaio e farti strada per i cunicoli sperando che alla prossima svolta appaia il falò salvifico. Da ricodare che la vita si ricarica un numero limitato di volte e per ripristinare le ricariche è necessario il falò. Vedere le cariche di cura scendere è una delle esperienze più ansiogene mai provate in vita mia in un gioco, non sapendo se arriverai in tempo al prossimo checkpoint.
Voglio aggiungere, sulla mappa, che essa rende questo gioco più simile ad un Metroidvania di quello che si potrebbe pensare. Il genere Metroidvania nasce con due saghe leggendarie: Metroid e Castlevania e nasce in 2D. Molti hanno un'opinione (legittima) che il genere nasca e muoia in 2D. Io non sono convinto. Le caratteristiche del genere sono l'esplorazione, l'impossibilità di andare in parti di mappa senza apposita abilità e interconnessioni di aree. Per me Dark Souls rispetta tutte queste caratteristiche.
LORE: Finisco con la cosa che secondo me è la caratteristica più importante e memorabile di Dark Souls, ossia la sua narrativa silenziosa, la famigerata Lore. E' una dei motivi principali di odio nei confronti dei Souls da parte dei detrattori ma è anche molto amata da chi invece apprezza questi giochi. Il motivo è di facile comprensione: navigare per Lordran fa sentire chi ci gioca come uno storico che investiga in una terra straniera. Una cosa da non sottovalutare è che questo metodo narrativo mette il giocatore e il personaggio nella stessa situazione, entrambi non conoscono e devono scoprire. Questo da la possibilità di immedesimarsi meglio, non perdere il filo della trama e creare un legame profondo con la storia del mondo che ci viene spiegata non trammite noiosissimi spegoni ma con un processo in itere coinvolgente.
La grandezza della Lore è data dalla mitologia portata in campo da Miyazaki. Un pantheon di divinità e personaggi semidivini investe il giocatore. L'ispirazione è la mitologia greco-romana ma anche norrena. La genesi di questa mitologia è solida e chiara e le vicende che portano allo stato attuale di decadenza sono comprensibili solo per chi avrà la voglia di coglierle.
Per sintetizzare il mio pensiero: Dark Souls non è un gioco per tutti, è un gioco che sfida il giocatore, sia sul piano meccanico che quello intellettuale. Lo provoca dicendo "non sei abbastanza intelligente per dipanare il mio mistero", a qualcuno questa cosa esalta, ad altri innervosisce. Si può dire che indubbiamente ha cambiato le carte in tavola nel mondo del gaming e come siamo abbituati a vedere la narrazione in un gioco.
IN UNA PAROLA: Rivoluzionario
1. Hollow Knight
Software House: Team Cherry
Autore: Ari Gibson, William Pellen
Siamo arrivati in cima alla classifica. Senza dubbio questo gioco non può essere definito un gioco AAA ma la cura di questo gioco è inarrivabile. Hollow Knight, gioco fatto da tre persone, riesce a fare quello che fa Dark Souls ma (a mio punto di vista) meglio. Lo fa in un ambiente 2D, in un genere (il Metroidvania) che si pensava morto. Invece Hollow Knight assesta un colpo micidiale spingendo questo genere a picchi mai raggiunti.
Questo gioco pesta, e pesta duro. Non è un gioco semplice, ma è incredibilmente gratificante. Riesce a innescare in chi lo gioca una voglia di batterlo mai raggiunta a mio parere da nessun'altro gioco. Le sue meccaniche sono semplici, le build sono di facile comprensione ma sono piene di combinazioni uniche e interazioni specifiche. L'azione è sempre chiara, limpida. Non viene mai da insultare il gioco per una mala gestione della camera (come succede nei Souls), o perchè quel colpo non doveva arrivare, o la hitbox non era ben specificata. Ribadisco: la chiarezza del combattimento rende il gioco bello da giocare e bello da vedere. Leggendaria rimane la bossfight delle tre mantidi, simbolo di sfida chiara e leggibile.
Anche Hollow Knight possiede una Lore, una narrazione nascosta, che rende il gioco un processo investigativo. Le altre Lore sono grandi, roboanti, da grande narrazione mitologica. Hollow Knight non è così: seppur si combatta entità dalla potenza smisurata la storia si concentra sul protagonista, è la SUA storia. Questo rende la storia notevolmente più intima e personale, con personaggi non giocanti che non sono solo delle maschere della commedia ma vere e proprie persone con un carisma e una introspezione toccante a volte.
Le mappe sono costruite benissimo, con tantissimi bei segreti, ambientazioni sempre varie e le abilità sono, come in ogni buon Metroidvania, congeniali all'esplorazione. Quello che però è degno di nota è la qualità artistica: tutto il gioco è disegnato a mano, con animazioni disegnate a mano, con personaggi che hanno uno stile unico e particolare e con un setting, quello dei un mondo insettoide, con una specifica architettura, usi e cultura affascinanti e intriganti.
IN CONCLUSIONE: Hollow Knight è un gioco che mi ha lasciato molto. Le ore spese a giocarlo hanno definito un periodo della mia vita molto specifico, di passaggio, che mi terrò nel cuore. Sono sempre stato un amante dei giochi indie ma questo gioco mi ha regalato un esperienza che non pensavo sarebbe stata abbastanza grossa da poter definire Hollow Knight il miglior gioco mai giocato!
IN UNA PAROLA: Migliore